
29 Gennaio, giornata di viaggio. Dopo il bus per Abu Road, ci spostiamo a piedi fino alla stazione ferroviaria, piccola ma organizzata oltre ogni aspettativa; ci sono i visori luminosi che mostrano anche il nostro treno, terminali semplici per consultare partenze e arrivi, liste di prenotazione esposte dove figurano anche i nostri nomi! E infine, lungo le banchine, visori che indicano dove fermerà esattamente il singolo vagone, in modo da sapere dove attenderlo.
Il treno arriva quasi puntuale. La nostra carrozza è confortevole, con aria condizionata. Il viaggio è lungo e il panorama piuttosto monotono. Solo all’inizio gli Aravalli mostrano i loro picchi rocciosi, e alla fine il crepuscolo color porpora è spettacolare. Finalmente arriviamo a Ajmer, il punto base per visitare la città sacra di Pushkar. L’hotel è bello e possiamo recuperare energie in previsione del giro di domani.
L’indomani prendiamo il bus per Pushkar: un catorcio lercio ma a un prezzo infimo (30 rupie, circa mezzo euro). Dopo 20 minuti di sobbalzi arriviamo al villaggio; l’ufficio del turismo è stranamente gestito da militari, i quali ci danno mappa e indicazioni per poi farci riempire un questionario con i nostri dati.
Il primo ghat (bagno sacro) che visitiamo è tranquillo e offre un primo scorcio sul lago, suggestivo. Proseguendo, iniziano purtroppo a tampinarci con i “fiori da dare in offerta al lago”: una scusa per iniziare un rituale che mira a scucire soldi e donazioni agli occidentali. Sulla guida abbiamo letto che è impossibile evitarlo, ma tentiamo di resistere inutilmente. Alla fine ci scuciono 1200 rupie, circa 18€. Siamo stressati ma finalmente liberi di andare nei ghat. Veniamo “marchiati” con un braccialetto rosso che permette di girare per il villaggio senza essere assaliti (a saperlo me lo sarei procurato falso prima di andare).
Il posto è davvero particolare e pieno di gente colorata. Tutto intorno al lago c’è un bazar, tutto sommato tranquillo, dove acquistiamo alcuni regali. Assistiamo anche a una sfilata per un matrimonio, con la banda e le donne coloratissime.
Per pranzo compriamo frittelle da un ambulante avvistato all’inizio, e pranziamo all’ombra sul primo ghat. Tornando al bus passiamo per un ponte pedonale sacro, dove dobbiamo toglierci le scarpe come sul ghat, peccato che qui sia ancora più sporco.
Rientrati in hotel ci diamo una ripulita, ma visto che è ancora presto e non siamo abbastanza stanchi, ci viene la malsana idea di andare a visitare una tomba, detta dello “Sharif Dargah”, meta di pellegrinaggio per le spoglie del santo sufi Khwaja Moinuddin Hasan Chisti. Prendiamo un tuc tuc e ci infiliamo in un dedalo di vicoli sempre più stretti, tanto che a un certo punto il driver ci dice di continuare a piedi (“dritti e poi a sinistra”!) Per non rischiare di perderci gli chiediamo di aspettarci per il tragitto di ritorno.
L’ambiente è totalmente islamico. Avanziamo con disinvoltura, ma spicchiamo come lampadine accese in piena notte. Tutti ci guardano e qualcuno ci segue facendo “l’indiano”. Nei pressi della porta scattiamo qualche foto, ma poi lo stress ha la meglio e anziché entrare facciamo dietrofront, disilludendo un potenziale seccatore in caftano che ci si era avvicinato. Rientriamo in hotel: per oggi può bastare.